Quando in Antartide c’erano le foreste

 

Tronco fossile in Antartide

Gianluca Cornamusini, Matteo Perotti e Sonia Sandroni,  i ricercatori dell’Università di Siena che hanno partecipato alla trentunesima Spedizione italiana del Programma Nazionale Ricerche in Antartide, studiando una delle più vaste e rilevanti foreste fossili del Polo Sud, sono in viaggio sulla nave Italica che li sta portando dall’Antartide alla Nuova Zelanda, da dove torneranno in Italia.

L’attività di ricerca in Antartide  è stata svolta nel progetto di ricerca PNRA AZ2.08, coordinato da Franco Talarico, docente del dipartimento di scienze fisiche, della Terra e dell’ambiente dell’ateneo senese, che prevede collaborazioni internazionali con ricercatori americani e tedeschi e coinvolge anche ricercatori deglle università di Padova, Perugia e di Roma Tre e del CNR.

Cornamusini, Perotti e Sandroni hanno svolto la parte principale dell’attività di ricerca in  un campo remoto ad Allan Hills, su rilievi distanti più di  200 km dalla base scientifica italiana Mario Zucchelli, nella Terra Vittoria e in un comunicato l’università di Siena sottolinea che «nonostante le avverse condizioni ambientali – nei primi giorni le raffiche di vento fino a 40 nodi hanno portato la temperatura percepita a circa -55°C –  la  ricerca geologica nell’area di Allan Hills ha dato ottimi risultati e ha permesso di conoscere a fondo una antica e vasta foresta fossile, antica di circa 245 milioni di anni.  I tronchi e gli alberi fossili abbattuti erano già stati identificati dal gruppo di ricerca in due spedizioni precedenti. I tronchi sono inglobati nella roccia, data da arenarie prodotte dall’attività di un antico sistema fluviale di età del Triassico medio (circa 245 milioni di anni di età) e affiorano su di una superficie vasta alcuni km2, sotto forma di legno silicizzato ed in parte carbonizzato. Nonostante la mineralizzazione, dallo studio sono emersi nuovi ed importanti dettagli anatomici dei legni originari, come gli anelli di crescita, la struttura lignea, i nodi di innesto dei rami sui tronchi, gli apparati radicali, che si sono perfettamente preservati durante il processo di fossilizzazione.  Oltre ai tronchi fossilizzati sono state rinvenute numerose impronte di foglie fossili, che permettono una migliore identificazione delle piante».

Foglia fossile in Antartide.

Grazie ai nuovi ritrovamenti effettuati quest’anno è stato possibile identificare, mappare e schedare, con l’ausilio di tablet dedicati, sistemi GPS con mappe georeferenziate e immagini satellitari ad alta risoluzione, oltre 250 tronchi fossili, «che fanno di Allan Hills uno dei giacimenti a fossili vegetali più grandi e importanti dell’Antartide – dicono all’università di Siena –  meritevole di essere proposto come geosito di interesse internazionale ed area protetta antartica.  Si tratta infatti dei resti di un’antica e vasta foresta fossile triassica, molto probabilmente abbattuta da una o più piene alluvionali catastrofiche, con i tronchi trascinati dalla corrente del fiume e poi abbandonati nei sedimenti».

Paleo pioggia in Antartide.

Gli scienziati spiegano che «le piene catastrofiche hanno probabilmente caratterizzato parte del Triassico inferiore e medio alla scala dell’intero Gondwana meridionale (il supercontinente che comprendeva l’America del Sud, l’Africa meridionale, l’India, l’Australia ed appunto l’Antartide) e distrutto enormi aree vegetate. Questi eventi potrebbero essere in relazione con le forti variazioni climatiche caratteristiche di tale periodo, conseguenza di una fase estremamente critica della storia della Terra, ovvero una delle più grandi estinzioni di massa, che avrebbe totalmente distrutto oltre il 95% delle specie animali e vegetali.

Le osservazioni dirette sugli affioramenti in Antartide e i dati che verranno raccolti durante le analisi dei campioni in laboratorio permetteranno di estrarre dalla foresta fossile di Allan Hills informazioni essenziali per la ricostruzione degli scenari ambientali in Antartide durante uno degli eventi di cambiamento globale più cruciali della storia del nostro pianeta».

 

(Articolo pubblicato con questo titolo l’8 gennaio 2016 sul sito www.greenreport.it)

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