Le piccole isole-stato hanno il terrore di essere spazzate via dal pianeta, sommerse dall’innalzamento dei mari. In 44 (39 isole stato e 5 osservatori), che hanno origine da tutti gli oceani e le regioni del mondo – Africa, Caraibi, Oceano Indiano, Mediterraneo, Pacifico e Mar Cinese Meridionale – e riunite nell’Alleanza dei piccoli Stati insulari (AOSIS) alzano la voce nei negoziati della Conferenza delle parti sul clima a Parigi affinché l’accordo punti a contenere a 1,5 gradi centigradi l’aumento medio delle temperature rispetto all’era preindustriale. Un aumento più alto, infatti rischia di farle scomparire dall’atlante. Nelle regole Onu, ciascun Paese ha diritto a un voto, indipendentemente dalle dimensioni e così i Paesi insulari vogliono far pesare la loro opinione e chiedere un accordo più ambizioso, potendo muovere in totale un centinaio di voti compresi quelli altri Stati. Soprattutto quelli asiatici flagellati da inondazioni e tsunami, come Filippine e Bangladesh. La prospettiva di ‘affogare’ terrorizza le popolazioni che sarebbero costrette ad una migrazione verso altri Paesi più sicuri. Insomma, si innescherebbe una catena di emergenze. “Non prevediamo che alcun Paese sarà un problema“, ha commentato il segretario della Convenzione Onu sul cambiamento climatico (Unfccc), Christiana Figueres, spiegando che eventuali divergenze di posizione sono “salutari” in un processo che non vuole “andare contro l’interesse nazionale” di nessuno. La richiesta delle piccole isole si confronta però con la netta opposizione di alcuni grandi inquinatori, a cominciare dall’India, disposta a impegnarsi maggiormente a ridurre le emissioni legate all’uso di carbone solo in cambio di un ulteriore sostegno finanziario. Una posizione che si rispecchia nella dichiarazione del gruppo dei 77, la coalizione degli Stati in via di sviluppo, che ricorda l’obbligo per i Paesi avanzati di “fornire risorse finanziarie, inclusi i trasferimenti di tecnologie e la creazione di competenze“, un “obbligo legale, né ‘aiuto’ […]