«Esiste ancora l’Italia? Quella misteriosa concrezione di natura e di storia che, rivelandosi, non poteva non cambiare gli artisti e il mondo? L’Italia del Rinascimento e della Maniera Moderna di Raffaello che divenne modello all’Europa, l’Italia dell’antichità che i neoclassici intesero come dimora, come approdo ritrovato per sempre. E l’Italia della Natura, quando l’uomo moderno, divenuto viandante, inseguiva un altrove che coincideva con luoghi reali. Luoghi che non erano privi di passato e memoria, ma che venivano ora investiti da un sentimento così dirompente da fare emergere, ancora in Italia, il volto moderno della pittura». È racchiuso in questo brano il senso dell’ultimo libro di Anna Ottani Cavina, che è una storia del paesaggio come protagonista della pittura: Terre senz’ombra, che esce come secondo numero della nuova collana Imago di Adeplhi. Dopo un essenziale antefatto – Lorenzetti, Leonardo, Giorgione… – la partenza vera della storia, e del libro, è nel Seicento: quando Annibale Carracci «diede luce al bell’operare de’ paesi, onde li Fiamminghi videro la strada di ben formarli», come scrive nel 1642 il pittore Giovanni Baglione. Fin da allora, come si vede, è questione di primato: la pittura di paesaggio è un’invenzione italiana? Felicemente, il libro di Anna Ottani preferisce tessere una storia di incontri: inizia con la figura ammaliante di Adam Elsheimer, un pittore tedesco che usò il cannocchiale di Galileo, se non per primo, certo con più intelligenza e poesia di tutti suoi contemporanei. Già, perché parlare di pittura di paesaggio significa innanzitutto parlare di visione: come guardavano, e come vedevano, i pittori del Seicento? Siamo ancora molto lontani dal saper rispondere a questa domanda, ma è irresistibile il fascino di Elsheimer, che (suggerisce plausibilmente l’autrice) si fa prestare il nuovissimo ordigno dal cardinal Francesco Maria del Monte, il grande protettore di Caravaggio, e riesce così a […]