Al Consiglio di Stato è stata portata la questione relativa alla incidenza di interventi edilizi realizzati su immobili successivamente alla presentazione di domande di condono. Si tratta di stabilire se tali interventi possano o meno giustificare il rigetto della domanda di sanatoria. Il legislatore, all’art. 35 della L. 28 febbraio 1985 n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), ha previsto che: «decorsi centoventi giorni dalla presentazione della domanda e, comunque, dopo il versamento della seconda rata dell’oblazione, il presentatore dell’istanza di concessione o autorizzazione in sanatoria può completare sotto la propria responsabilità» le opere oggetto della domanda. A tal fine, prosegue la norma, «l’interessato notifica al Comune il proprio intendimento, allegando perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi, ed inizia i lavori non prima di trenta giorni dalla data della notificazione». Questa norma autorizza esclusivamente, quando sussistono i presupposti da essa indicati, la realizzazione di lavori di completamento con assunzione del rischio da parte di chi li effettua, nel caso in cui si dovesse verificare il rigetto della domanda di condono. La disposizione riportata non si occupa, però, della diversa fattispecie in cui il soggetto che ha presentato la domanda di condono abbia realizzato interventi non di rifinitura, ma nuovi e diversi rispetto a quelli oggetto della richiesta di sanatoria. Il Consiglio di Stato, sez. Sesta, con sentenza n. 3943 del 14 agosto 2015, ha ritenuto che, in mancanza di una espressa norma di divieto, la realizzazione di detti interventi non può da sola giustificare il diniego del condono, occorrendo invece verificare se essi abbiano o meno inciso in modo radicale sui beni oggetto del condono impedendo all’Amministrazione di valutare, per la diversità degli immobili, la sussistenza dei presupposti per la concessione del […]