Articolo di Lucia Tozzi, che è stato pubblicato con questo articolo il 12 giugno 2015 su “Eddyburg” con la seguente premessa: “Un’analisi delle truffe, dei crimini e dei saccheggi del patrimonio naturale che si nascondono dietro la difesa della attività estrattive. Nel mondo e in Italia, Toscana in testa. Postato il 12 giugno 2015”. Ai bei tempi di Pablo Escobar e del Cartello di Medellín la coca si esportava con aerei, motoscafi, sottomarini e persino tunnel faraonici sotto la frontiera Mexico-USA. Poi, con Bush Senior, è arrivata la War on Drugs e il narcotraffico è diventato una materia molto più complessa. Da allora è stato necessario inventarsi metodi sempre nuovi per nascondere tonnellate di droga nei carichi di frutta, verdura, lastre di vetro, prodotti e materiali di ogni genere. Uno dei migliori era e resta il marmo, o ancora meglio il granito, come racconta Luca Rastello in Io sono il mercato. «Qual è la regola? Lavora con i materiali più preziosi. Se scegli il marmo non usare un Carrara bianco, da cessi: dentro ci guarda chiunque – parla uno di quei geni della logistica che ha progettato un’infinità di viaggi miliardari dal Sudamerica – Il migliore è il Bahía Azul, può costare anche 600 euro al metro cubo. Chi va mai a pensare che rovini sta meraviglia per imbottirla?». Il contrabbando è solo il più marginale e pittoresco dei lati oscuri del ciclo della pietra. L’economia estrattiva è notoriamente fondata sullo sfruttamento semigratuito di risorse comuni – non a caso “estrazione” è una metafora ricorrente nelle descrizioni del capitalismo contemporaneo, estesa alla sfera della conoscenza e dei beni immateriali –, ma pone anche problemi di inquinamento delle falde e dell’aria, implica una trasformazione radicale del paesaggio, crea vuoti che possono essere riempiti nei modi più rischiosi e inopportuni. […]