Pensieri sul futuro

 

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente editoriale di Giorgio Nebbia.

Poche cose hanno attirato l’interesse degli esseri umani come l’interrogarsi sul futuro: quanti abitanti può “sostenere” il nostro pianeta ? ci sarà cibo e acqua e energia per tutti ? 

Come è ben noto, una popolazione di esseri viventi animali, e quella umana è una di queste, vive ricavando dall’ambiente dei beni materiali, alcuni rinnovabili come l’acqua o i vegetali, altri non rinnovabili, come il carbone, altri trasformati dalla “tecnica” come la plastica o la conserva di pomodoro. 

Per il principio di conservazione della massa tutto quello che “entra” in un processo come quello vitale esce nella stessa quantità ma “degradato”, non più utilizzabile come tale, sia energia, o gas, o acciaio e carta, eccetera, e addirittura sotto forma di scorie dannose per l’ambiente. 

Dal momento che, nel caso del pianeta Terra, l’ambiente è fisicamente limitato, a mano a mano che aumenta la popolazione, diminuisce la quantità di beni disponibili e peggiora la “qualità” dell’ambiente stesso. 

Tutte i discorsi sull’ecologia e la decrescita e i limiti alla crescita auspicati nel 1972 dal Club di Roma, eccetera, hanno la loro base nelle leggi della vita che si studiano al primo anno di biologia nel capitolo della dinamica delle popolazioni, elaborata negli anni trenta del Novecento dagli studiosi Lotka, Volterra, Kostitzin, Gause. 

In un ambiente di dimensioni limitate, il numero degli individui di una popolazione dapprima cresce rapidamente quando sono abbondanti cibo e spazio; a poco a poco tale numero cresce più lentamente (cioè diminuisce il tasso di crescita percentuale annuo). 

Il rallentamento della crescita di una popolazione vivente è direttamente proporzionale alla diminuzione della massa di beni materiali disponibili, dovuta alla sottrazione delle risorse naturali dall’ambiente, e alla conseguente crescita della massa di rifiuti tossici immessi nell’ambiente. 

Il tasso di crescita r di una popolazione P diminuisce, quindi, a mano a mano che diminuisce la massa dei beni disponibili K, e che cresce l’intossicazione dell’ambiente, espressa da un termine aPdt che dipende dal numero di individui che hanno occupato in passato tale ambiente, moltiplicato per un coefficiente a corrispondente all’inquinamento lasciato da ciascuno di loro: 

dP/dt = rP [1 – P/K – a∫Pdt] 

Questa equazione integrodifferenziale è stata proposta nel 1934 dal grande matematico Vito Volterra il quale nel 1938 ha intitolato un suo saggio: “Crescita della popolazione, equilibrio e estinzione”.

Infatti, con un poco di calcoli è facile vedere che, per qualsiasi valore positivo di r, K e a, una popolazione P, dopo avere raggiunto un massimo diminuisce e poi scompare.

 Immagine.Scomparsa della specie umana

Per gli umani la rapida crescita dalla popolazione è stata resa possibile dagli eventi che, dal Seicento in avanti, hanno assicurato, anche con le scoperte geografiche, a un crescente numero di persone una crescente disponibilità di spazio in cui abitare, di cibo e di beni materiali. 

Da un certo periodo in avanti, diciamo dalla seconda metà del Novecento, si sta osservando un rallentamento del tasso di crescita della popolazione umana (non del numero totale degli individui), una “transizione demografica” dovuta a fattori culturali, al fatto che in molti paesi industriali le donne lavorano, che la prolificità non è più un valore, ma soprattutto alla mancanza di abitazioni, alla crescente difficoltà di procurarsi cibo, energia e alla consapevolezza che la “qualità” dell’aria e delle acque e del suolo e degli spazi abitabili in molti paesi peggiora. 

Il rallentamento della crescita della popolazione umana comporta anche continue modificazioni non solo del numero totale di individui, ma soprattutto della loro distribuzione per età, con un aumento degli “anziani” e una diminuzione dei “giovani”, il che significa una diminuzione della frazione in età lavorativa e una modificazione del lavoro, forse dalla produzione di oggetti a servizi di collaborazione fra persone. 

Fenomeni vistosi nei paesi industrializzati ma che si manifestano ben presto anche in quelli oggi poveri. 

Del resto anche una ipotetica società stazionaria, in cui il numero di nati fosse uguale al numero dei morti, non sarebbe sostenibile a causa della diminuzione delle risorse da cui trarre nutrimento e dell’intossicazione dell’ambiente. 

Mi rendo conto che la prospettiva del declino di una popolazione, dei consumi, della disponibilità di risorse è sgradevole per una società basata sul principio che soltanto più persone e più beni materiali assicurano più ricchezza monetaria, considerata l’unico indicatore del benessere, cioè dello stare bene; la massa di scorie che inevitabilmente accompagna questo cammino è solo un secondario ”irrilevante” disturbo nel cammino della crescita. 

E comunque, per tale società basta diffondere la certezza che la scienza, la tecnologia e la stessa crescita della ricchezza qualche soluzione troveranno, il che è poco credibile alla luce sia delle leggi della vita sia della storia dei viventi. 

Forse la constatazione che anche la nostra specie umana ubbidisce alle stesse leggi di crescita e declino di tutti gli esseri viventi può indurre a cercare il “benessere” in valori come la solidarietà, il rispetto degli altri, il vivere “bene”, fin che la specie esisterà.

Del resto perfino il Papa Francesco, in una “lettera” al giornalista Scalfari nell’estate del 2013, ha scritto che un giorno la nostra specie scomparirà. 

Quando e come questo avverrà per la popolazione umana — centinaia, migliaia di anni ? — non è possibile sapere: innumerevoli specie viventi sono comparse, cresciute e scomparse; non scomparirà comunque la vita, almeno fino a quando il Sole diffonderà un po’ delle sue radiazioni di luce e energia.

 

 

 

 

 

 

 

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