Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente articolo di Michele Di Gerio, dottore veterinario referente VAS di Napoli per la Tutela degli animali non-umani. Lo zoo di Napoli, riaperto lo scorso anno, è ormai definito ‘bioparco’. Tale termine mi sembra inesatto poiché etimologicamente significa ‘parco della vita’ mentre lo zoo di Napoli, per i terribili maltrattamenti che arreca alla fauna, è definibile ‘parco della morte’. Le specie animali vengono segregate o fatte nascere in ambienti diversi dai loro habitat naturali, costringendoli a un modus vivendi che abbruttisce la loro natura; altre, invece, vi terminano la loro cruda esistenza, com’è accaduto nell’ottobre scorso all’elefantessa Sabrina. Pur cambiando gestione, allo zoo di Napoli continuano ad essere diffusi la trascuratezza e lo squallore. Un articolo del 20 marzo 2015 pubblicato su vesuviolive.it e firmato da Domenico Ascione, privo di false retoriche inneggianti alla cultura scientifica o alla didattica, descrive e denuncia lo stato di incuria nel quale versa lo zoo di Napoli. “I leoni – si legge – ospitati nel parco, vivono tutti ammassati su un’enorme struttura di cemento e mattoni, ben lungi da una savana piena d’erba e vento … Una maestosa tigre vive in pochissimi metri quadrati, per giunta sporchi e pavimentati, in cui le è impossibile ‘sentirsi a casa’ … Va, poi, presa in considerazione l’impressione di degrado e abbandono che trasmettono la maggior parte delle altre zone al punto che, quello che dovrebbe essere un romantico laghetto coi cigni, sembra una fogna a cielo aperto”. L’articolo di Domenico Ascione mi ricorda i passaggi più significativi di quello di Cristina Zagaria pubblicato il 30 gennaio 2013 da napoli.repubblica.it, che evidenziava le terribili condizioni dello zoo di Napoli: “Gabbie, ferro, reti, ruggine, incuria, abbandono, spazzatura, bottiglie di candeggina vuote, fili elettrici a vista … L’elefante fa fatica a muoversi in uno spazio […]