L’articolo che è stato selezionato per sottoporlo oggi alla attenzione di chi ci legge riguarda il nodo in cui si spostano i romani nello spazio della città ed indica come spezzare il circolo che strangola la capitale. Si tratta di un articolo di Piero Bevilacqua, professore ordinario di storia contemporanea all’Università La Sapienza di Roma, pubblicato con questo titolo il 6 marzo 2015 su “Il Manifesto”, di cui condividiamo la proposta della «formula che ci salvi», ma con l’aggiunta di una postilla di VAS. Piero Bevilacqua La lingua latina possiede due termini sinonimi per indicare la città: urbs, riferito alla struttura, agli edifici, le strade, le piazze, e civitas. Quest’ultimo sta a indicare la comunità dei cittadini. Ma non semplicemente il loro insieme demografico, anche la loro soggettività, il loro essere consapevoli di appartenere a uno spazio speciale, con le sue regole, i suoi agi rispetto alla campagna, la sua bellezza. Non per niente da quella stessa radice viene il termine civiltà. Parola scomparsa dal lessico corrente, troppo altisonante per le nostre società, dove governanti e governati si accontentano con modestia di qualche punto di Pil. Eppure alcuni vecchi termini della nostra civiltà linguistica – manipolati oggi dal servilismo anglofilo dei media — dovremmo disseppellirli, farli risplendere di nuovi significati. Lo scorso anno lo ha fatto suggestivamente Giancarlo Consonni (La bellezza civile. Splendore e crisi delle città, Maggioli) di cui ha discorso su questo stesso giornale Adriano Prosperi (4.7.2014). La bellezza civile, espressione coniata da Giambattista Vico, dovrebbe tornare in uso a significare una aspirazione delle nostre comunità cittadine, che l’hanno a lungo perseguito e realizzato. Lo stare insieme entro ordini e spazi in cui la bellezza delle forme urbane dovrebbe tendere ad armonizzarsi con le virtù civiche, l’osservanza delle leggi intesa come rispetto degli altri, il sentirsi comunità cooperante […]