Dopo gli attentati di Parigi è opportuno una profonda riflessione su tutto quanto è accaduto anche dopo. VAS si riconosce in piena sintonia con l’approfondimento che ne ha fatto Stefano Rodotà nell’articolo pubblicato con questo titolo il 16 gennaio 2015 su “La Repubblica”. Stefano Rodotà IN TUTTO il mondo, in questi giorni, milioni di persone hanno proclamato “Je suis Charlie”. E questo non può essere l’esercizio retorico o strumentale di un momento. La rivendicazione della libertà d’espressione contro ogni forma di violenza è sacrosanta, ma terribilmente impegnativa. Fino a che punto siamo disposti a riconoscerla anche a chi manifesterà opinioni estreme o fondamentaliste? Ieri il Papa ha indicato quello che gli sembra essere un limite insuperabile: le parole aggressive contro la religione altrui, contro qualsiasi fede religiosa. Posizione ben comprensibile da parte del capo supremo della Chiesa cattolica. Ma essa non appartiene a quella laicità delle istituzioni che ha fondato, insieme alle altre libertà, anche quella di esprimere liberamente il proprio pensiero. Proprio qui la stessa libertà religiosa ha trovato il suo fondamento. Non è vero, quindi, che la laicità abbia guardato alla religione e alle espressioni religiose come “sottoculture tollerate”, considerate invece come parte di un contesto culturale nel quale tutte le opinioni, anche quelle sgradite, meritano rispetto. Un punto fermo, che non può essere travolto dalla concitazione che accompagna il nostro tempo difficile. Riprendendo un discorso di Benedetto XVI, Papa Bergoglio è tornato sulle presunte colpe dell’Illuminismo. È bene ricordare, allora, che proprio lì ha le sue radici la frase attribuita a Voltaire (ma in realtà costruita da Evelyn Hall) infinite volte citata in questi giorni: «Non sono d’accordo con quel che dici, ma mi batterò fino alla morte perché tu abbia il diritto di farlo». Una indicazione forte, che ci ha accompagnato tutte le volte che si […]