Articolo di Paola Somma pubblicato il 16 dicembre 2014 su “Eddyburg”. Nel Discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza, Jean Jacques Rousseau afferma: «il primo che, recintato un terreno, ebbe l’idea di dire questo è mio e trovò persone cosi ingenue da credergli, fu il vero fondatore della società civile». A Venezia, questo vale anche per l’acqua, con l’avvertenza di sostituire alla categoria delle “persone ingenue” quei dirigenti del Magistrato alle Acque e quei pubblici amministratori che, negli ultimi anni, hanno trattato la laguna come una superficie da suddividere in lotti a disposizione degli investitori. Non sempre il risultato di tali operazioni è stato l’imbonimento, cioè la creazione di nuovo suolo calpestabile. Una volta recintato, però, lo spazio acqueo, teoricamente bene pubblico inalienabile, è, di fatto, sempre diventato proprietà privata. MARINA SANTELENA, la darsena che offre “l’affascinante glamour della regina del mare”, è un esempio particolarmente significativo di questo processo, non solo per la dimensione, circa 4 ettari, ma perché la vicenda che ha portato alla sua realizzazione racchiude molti elementi emblematici della recente storia locale, tra i quali: – una calamità naturale, cioè la tromba d’aria che nel 1970 ha distrutto il cantiere Celli situato a ridosso dello stadio e della chiesa di Sant’Elena; – alcuni anni di disinteresse e abbandono da parte delle pubbliche amministrazioni, che hanno trasformato una zona storicamente adibita ad attività produttive in una cosiddetta “area sottoutilizzata sul bordo della laguna”; – il gioco delle parti fra Comune, Regione, Demanio e Magistrato alle Acque, che si è concluso con una assai generosa concessione al privato e le cui tappe principali possono essere così riassunte: nel 2000 il Comune ha approvato un Piano Particolareggiato che prevedeva «il recupero, la riorganizzazione, la riqualificazione fisica e funzionale dell’area ….. costituita da superficie acquea e di terra» da […]