Articolo di Fabrizio Bottini pubblicato il 24 novembre 2014 su Today.it Appena è diventata ufficiale la notizia, ampiamente anticipata, del premio International Highrise conferito al Bosco Verticale di Milano, si sono scatenate le critiche dei dubbiosi. Intendiamoci: la maggior parte dei commenti su stampa e web erano ampiamente positivi, ma più che alla sostanza parevano badare all’aura mistica in perfetto stile archistar che aleggia sempre attorno a questi progetti. E le motivazioni ufficiali del premio parevano addirittura più simbolicamente barocche del pieghevole pubblicitario dell’immobiliare, nello sperticarsi in lodi sulla capacità del progetto di riportare l’uomo alla natura, o addirittura di costituire un modello per la città densa del terzo millennio. I dubbiosi, magari polemici, magari addirittura scurrili nella loro diffidenza faziosa, coglievano però un punto assai evidente: e che sarà mai un palazzone con le vasche a fioriera? La risposta potrebbe darla la schiera di tecnici internazionali che ha reso possibile non solo piantare a quell’altezza alberi maturi e farli convivere con appartamenti abitati, ma anche avviare una sperimentazione socio-ambientale. Però si tratta di una risposta ancora in linea con l’approccio tutto interno all’architettura del premio International Highrise. Assumono una prospettiva più interessante, le critiche anche più sarcastiche al Bosco Verticale, se le inquadriamo in una più generale perplessità su alcuni progetti di verde urbano a dir poco ideologici, che in ordine sparso si stanno conquistando parecchia notorietà da qualche anno. Il primo è stato quello della High Line a Manhattan, ex viadotto ferroviario dismesso che invece di essere abbattuto è stato – nel quadro di una assai più ampia politica di valorizzazione immobiliare e riqualificazione – arredato a verde con tecniche innovative, e rivenduto all’opinione pubblica come nuovo modello di parco, anziché passeggio, o area pedonale che dir si voglia. High Line a Manhattan Lì vicino, al […]