Articolo di Marta Buonadonna pubblicato il 1 dicembre 2014 su “Panorama” con questo titolo ed il seguente sottotiolo: “Per 12 giorni i negoziatori lavoreranno alla bozza del nuovo accordo che andrà firmato a Parigi l’anno prossimo”.
Marta Buonadonna
Sono circa 4.000 i delegati provenienti da 196 paesi che si incontrano da oggi a Lima, in Perù in occasione della ventesima Conferenza delle Parti.
Questo vertice delle Nazioni Unite sul clima è l’ultimo prima di quello, decisivo, di Parigi, che si terrà tra un anno esatto e durante il quale si spera di firmare un nuovo accordo internazionale che sostituisca quello di Kyoto.
Ecco i punti salienti, le promesse, le speranze e gli snodi critici del summit peruviano.
Il protocollo di Kyoto
Sottoscritto nel 1997, entrato in vigore nel 2005, quando anche la Russia lo ha ratificato, è un trattato che aveva lo scopo di obbligare i paesi aderenti a ridurre le proprie emissioni di gas a effetto serra di un minimo dell’8% tra il 2008 e il 2012 rispetto ai livelli del 1990.
Con l’Accordo di Doha, siglato al fotofinish nel dicembre 2012, si è prolungata la validità del Protocollo di Kyoto fino al 2020.
A Parigi, durante il Cop 21 che vi si svolgerà a dicembre del 2015, dovrà essere raggiunto un nuovo accordo universale, legalmente vincolante, che sostituisca il Protocollo di Kyoto, e coinvolga tutti i paesi del mondo nell’impegno di tagliare le emissioni.
Ai paesi in via di sviluppo il protocollo firmato in Giappone non richiedeva infatti alcun impegno sul fronte della mitigazione.
Usa e Cina
Insieme totalizzano il 42% delle emissioni mondiali.
Qualunque accordo internazionale che non li conti tra i paesi firmatari, quindi, pare destinato ad avere un impatto limitato sui gas serra.
Ma i due big si sono già sfilati, stringendo qualche giorno fa un accordo bilaterale.
La notizia è da un lato ottima, perché è la prima volta che i due paesi prendono un serio impegno a mitigare le emissioni.
Dall’altro lato tocca constatare che i tagli promessi sono alquanto modesti.
Gli Usa promettono una sforbiciata del 26-28% (rispetto però ai livelli del 2005) entro il 2025, mentre la Cina ha promesso che raggiungerà il proprio picco di emissioni nel 2030 e che dopo quella data si impegna a far calare i gas serra.
Viste queste recentissime dichiarazioni pare impossibile che i due paesi si impegnino per attuare tagli più corposi in tempi più stretti.
Gli altri paesi ricchi
Alcuni, come Canada, Australia e Giappone, non si sono formalmente impegnati a nessun taglio.
Più ambiziosa è stata storicamente l’Europa.
L’Unione europea ha infatti accettato un taglio vincolante alle emissioni del 40% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990.
Molto meglio degli altri quindi, ma ancora non abbastanza secondo le organizzazioni ambientaliste.
Il WWF chiedeva una riduzione del 55% delle emissioni di CO2 oltre a un aumento dell’uso di energie rinnovabili al 45% e dell’efficienza energetica al 40%.
I paesi emergenti
Erano poveri, non sono ricchi, ma emettono un bel po’ e occorre che comincino a riconoscere le loro responsabilità.
Brasile, Indonesia, Sud Africa non hanno ancora preso impegni circa possibili tagli alle proprie emissioni.
Sarà molto importante capire che posizione prenderanno quando sarà chiesto anche a loro di stilare un programma di tagli.I paesi poveri
Sono i meno responsabili del cambiamento climatico e sotto molti punti di vista anche quelli che ne soffrono maggiormente le conseguenze.
Cosa vogliono?
Che i paesi ricchi, che hanno prosperato emettendo a proprio piacimento per decenni, si facciano carico dei potenziali rischi causati dal proprio comportamento sconsiderato e aiutino i paesi più in difficoltà a prepararsi al cambiamento che li aspetta.
Secondo i calcoli dell’organizzazione umanitaria Oxfam, gli Stati Uniti dovrebbero fornire il 56% dei flussi finanziari necessari a far muovere il pianeta verso un nuovo percorso a bassa emissione di carbonio almeno durante il primo periodo del nuovo accordo.
[Oxfam (Oxford Commitee for Famine Relief) è una confederazione di 17 organizzazioni non governative che lavorano con 3.000 partner in più di 100 paesi per trovare la soluzione definitiva alla povertà e all’ingiustizia. Il nome Oxfam si riferisce unicamente alla confederazione internazionale, di cui fanno parte varie ONG affiliate, presenti in molti paesi, spesso denominate con il nome “Oxfam” seguito da quello del paese. La denominazione Oxfam International, invece, si utilizza con esclusivo riferimento al Segretariato internazionale. Ndr.]
Dall’Ue dovrebbe arrivare il 22% dei fondi e dal Giappone il 10%.
Il Fondo Verde
Esiste in effetti un Fondo Verde per il clima dell’Onu che punta a raccogliere 10 miliardi di dollari entro la fine del 2014, ma per adesso è fermo a 9,4.
Una cifra che i rappresentanti dei paesi poveri giudicano risibile, chiedendo lo stanziamento di almeno 15 miliardi.
Come si vede siamo in ogni caso ancora lontanissimi da quei 100 miliardi l’anno il cui stanziamento era stato promesso alla fine della Conferenza sul clima di Copenaghen del 2009 entro il 2020.
I soldi servono a sviluppare un’economia verde nei paesi poveri, spiega l’Oxfam, con il doppio obiettivo di far uscire milioni di persone dalla povertà e promuovere uno sviluppo a basso tasso di carbonio.
Più benessere con meno emissioni, insomma.
Sotto i 2 °C: obiettivo plausibile?
Qual è lo scopo finale di un accordo legalmente vincolante sulle emissioni?
Sostanzialmente quello di frenare l’aumento delle temperature prima che raggiunga i 2 °C in più rispetto ai livelli medi pre-industriali.
È di questi giorni la notizia che, in base ai dati dell’americana National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), la temperatura media globale della terra e degli oceani tra gennaio e ottobre 2014 è stata la più calda da quando sono cominciate le misurazioni nel 1880.
[L’Amministrazione Nazionale Oceanica ed Atmosferica (NOAA) è una agenzia federale statunitense che si interessa di meteorologia. Ndr.]
La domanda ormai non è più “Quali tagli alle emissioni occorrono per restare sotto il pericoloso aumento di 2 °C“, ma bensì, “Siamo ancora in tempo per centrare l’obiettivo?“.
Probabilmente oltrepassare quella soglia è ormai inevitabile, ma mitigare le emissioni e intraprendere la strada dell’efficienza e delle fonti rinnovabili ha comunque senso: evitare che la situazione climatica passi da difficile a catastrofica.